Paolo Albani
INTERVISTA POSSIBILE SU
Tèchne

Gli "Esercizi tipografici" di Umberto Eco (Golem 16) hanno avuto ottimi emulatori. Il gioco ha avuto anche alcuni precursori, e su questo non potevamo che rivolgerci a Paolo Albani e alla sua rivista "Tèchne". "Tèchne" è una stazione di frontiera, in cui si incrociano le linee del gioco letterario, del linguaggio e delle immagini. Ce ne parla lo stesso Albani nell'autointervista che segue. [Stefano Bartezzaghi].


D - Prima di tutto: che cos’è Tèchne?
R - È una piccola (nel senso del formato, 19x12,5) rivista che si occupa di giochi letterari, che ha posto al centro del proprio interesse quella letteratura - per dirla con Jorge Louis Borges - cosiddetta «minore», non nel senso gerarchico del termine, ovvero che sta sotto ad un’ipotetica letteratura «alta», ma nel senso che occupa una posizione «laterale» attraversando le strade impervie del comico, del nonsenso, del bizzarro, del gioco.
D - Quando è nata la rivista?
R - Esiste una prima serie di Tèchne (19 numeri dal 1969 al 1976, affiancati da 50 quaderni dedicati alla poesia, alle arti, al teatro e alla saggistica), laboratorio di quello sperimentalismo verbo-visivo legato all'esperienza del Gruppo 70, fondato da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, una delle espressioni più significative, insieme al Gruppo 63, dell'avanguardia italiana del secondo dopoguerra. La nuova serie di Tèchne ha ripreso le pubblicazioni nel 1986 (a metà di quegli «stupidi anni ottanta» come li ha definiti Sebastiano Vassalli), per iniziativa mia e di Lino Di Lallo, (che purtroppo ha depennato il suo impegno di pennivendolo dopo il numero quattro), grazie anche alla collaborazione di Alessandra Barsi, curatrice della parte grafica della rivista, e alla generosità dell’editore Campanotto di Udine. Pur restando fedele all’area storica di riferimento (futurismo, dada, surrealismo) del precedente sodalizio, la nuova serie ha spostato, o meglio approfondito, la propria ricerca sul versante delle «scritture per gioco», privilegiando ogni forma di manifestazione artistica - visiva e letteraria - apertamente rivolta all'elemento ludico, divertente, insolito.
D - Esistono dei modelli di rivista a cui vi siete ispirati?
R - Se proprio vogliamo rintracciarli citerei, da un lato, la rivista francese Bizarre, fondata nel 1953 da Jean-Jacques Pauvert, di cui ricordo solo tre bellissimi numeri monografici, sui «pazzi letterari» (n. 4) curato da Raymond Queneau, sulla «littérature illettrée» (n. 32-33) curato da Noël Arnaud e François Caradec e infine su Raymond Roussel (n. 34-35). Dall'altro, parlerei de il Caffé, rivista letteraria attenta alle possibilità della satira, del grottesco e della parodia, fondata anch'essa nel 1953 (cabalistica coincidenza!) da Giambattista Vicàri, a cui collaborarono scrittori ed artisti già noti o destinati a una sicura notorietà e che, fra le altre cose, pubblicò già negli anni sessanta alcuni testi dell'OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), gruppo nato a Parigi nel novembre 1960 per iniziativa di Raymond Queneau e François Le Lionnais, fautori di una letteratura come «attività soggetta a regole». Non è un caso che, introducendo il catalogo della mostra storico-documentaria sulle riviste italiane del '900 tenutasi a Roma dal 21 ottobre al 20 novembre 1991, Giuliano Manacorda abbia segnalato tra «le riviste particolarmente sensibili ai motivi del comico o del ludico», oltre a Cacao di Jacopo Fo ed a Il Cavallo di Troia (entrambe purtroppo oggi non più operanti), proprio Tèchne, accomunando la loro esperienza a quella dell’ormai mitico Caffé.
D - Qual è la fisionomia culturale della rivista?
R - La rivista pubblica solo testi creativi e inediti, almeno per il lettore italiano (niente saggistica seria, recensioni, dibattiti sul rapporto fra... o sulla funzione di..., od altre amenità simili). La prima regola che ci siamo imposti è la brevità (in sintonia con la piccola «dimensione» della rivista): abbiamo perciò privilegiato, fra le altre cose e senza pregiudizi, l'aforisma, il racconto breve, la poesia alla maniera degli «haiku» giapponesi, l'intervento visivo senza troppi svolazzi o abbellimenti di maniera, pungente ed ironico. 
D - Com’è strutturata la rivista?
R - Anche se non in modo rigido, Tèchne è divisa in sezioni. Vi è una prima parte in cui riproponiamo testi delle avanguardie storiche. Ad esempio abbiamo pubblicato i Manifesti del Surrealismo in Cecoslovacchia di V. Nezval (3, 1989), presentati da Arturo Schwarz all'Istituto Francese di Firenze, mentre in seguito sono apparsi il Manifesto dei futuristi polacchi (4, 1992) e i Manifesti del futurismo catalano (6, 1997), insieme ad alcuni esempi relativi a La scrittura ideografica dei lettristi (5, 1995). Ma anche poesie di poeti «irregolari» come Pierre Reverdy, Edward Estlin Cummings, tradotto magistralmente da Marcello Pagnini, Charles Daniil, Christian Morgenstern. Abbiamo poi un angolo dedicato più specificatamente al gioco linguistico-letterario. In questo spazio sono apparsi, ad esempio, alcune poesie oloríme di Alphonse Allais, sonetti monosillabici di Charles Cros, What a man! un testo monovocalico in A di George Perec, la pagina del romanzo lipogrammato in E di Ernest Vincent Wright. Un'altra sezione è dedicata a curiosità e bizzarrie di vario genere: slogan pubblicitari futuristi, un vocabolario palindromico italiano-onailati, false etimologie, alfabeti illustrati e parlanti, lingue inventate, attestati di miserabilità, istituzioni stravaganti come la «Joseph Crabtree Foundation», club inglese dedito allo studio dell’opera di un personaggio mai esistito, ecc. Avendo un particolare debole per il nonsenso, non potevano mancare alcuni «limericks» inediti di Edward Lear. Esiste poi una sezione centrale generalmente dedicata ad un tema monografico dove sono uscite alcune «Piccole antologie» sui linguaggi immaginari e sulla stupidità, insieme ad una «Bibliografia dei giochi di e con le parole».
D - E sul versante visivo del linguaggio?
R - Naturalmente la rivista è ricca d'interventi visivi: qui si spazia dalle poesie-oggetto di André Breton ai monogrammi di Erik Satie, dai calligrammi di Michel Leiris alle affascinanti e poco conosciute Tipoesie di Jérôme Peignot, giochi tipografici di una fantasiosa eleganza, dai disegni di Saul Steinberg ai numerosi interventi «irrisori e demenziali» elaborati redazionalmente. Vi sono inoltre contributi di grandi manipolatori ludici del linguaggio sia del passato come Lewis Carroll, Velimir Chlébnikov o Ramón Gómez de la Serna, che del presente come Gino Patroni, Fosco Maraini, Maria Sebregondi. Divertissement provocatori e patafisici dovuti all’arguzia di Enrico Baj e Guido Almansi. Note di saggisti-scrittori seducenti e imprevedibili come Ferruccio Masini e Angelo Maria Ripellino. Sono comparsi infine una serie di interventi, diciamo così, «estemporanei», che hanno in parte conferito alla rivista l’inusuale forma di un libro-oggetto: ad esempio sul numero 1 (settembre 1986) la pagina 63, intitolata «La stoffa dell'artista», contiene un pezzo di stoffa autentica, incollata sul foglio; oppure sul numero 2 (settembre 1988) la pagina 107 presenta nell'angolo in alto a destra un taglio essendo dedicata all'orecchio di Van Gogh.
D - Ho notato che parli sempre al plurale. Ma quanti siete in redazione?
R - Al momento soltanto io, spalleggiato da Alessandra Barsi. Sull’esempio di Karl Kraus, fatte naturalmente le debite distanze, confeziono la rivista praticamente da solo. Come si dice in questi casi: «meglio soli che male accompagnati». Questa è anche la ragione per la quale Tèchne esce con un solo numero all’anno.
D - Come potresti riassumere in una battuta lo spirito che anima Tèchne?
R - È lo spirito dello sberleffo e della fumisteria.
D - Per concludere: cosa vorreste fare da grandi?
R - «Rifare il Burchiello» accogliendo così l’esortazione lanciataci da Eugenio Battisti nell’unico vero editoriale uscito sul primo numero della rivista.
 

 Golem, numero 17-18, 30 settembre 1998, rivista on line fondata da Umberto Eco, Gianni Riotta e Danco Singer, diretta a quel tempo da Stefano Bartezzaghi.




Editoriale di Stefano Bartezzaghi

In questo editoriale Bartezzaghi accenna a uno scritto di Giambattista Vicari uscito su "il Caffè" e ripubblicato da "Tèchne", 7, 1998, che potete leggere cliccando qui.




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