pagina del sito di Tèchne di Paolo Albani

Paolo Albani
INTRODUZIONE
a
Ada De Pirro
GIORGIO MANGANELLI E GASTONE NOVELLI
PAROLE ALLE IMMAGINI E IMMAGINI ALLE PAROLE


   La rivista Tèchne è sempre stata attenta al rapporto parola-immagine, fin dalla sua nascita (1969) quando fu il laboratorio di quello sperimentalismo legato all'esperienza del Gruppo 70, fondato da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, che, insieme al Gruppo 63, costituì una delle espressioni più significative dell'avanguardia italiana del secondo dopoguerra.
    Fra le numerose e variegate modalità in cui si presenta l'intreccio verbo-visivo quello riguardante il sodalizio tra Giorgio Manganelli e Gastone Novelli (nella foto qui sotto), personaggi entrambi "irregolari" e "non etichettabili", è particolarmente interessante e fecondo di spunti, così come dimostra la ricerca condotta da Ada De Pirro,
storica dell'arte e artista, curatrice, insieme a Antonella Sbrilli, della mostra Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, tenutasi a Palazzo Poli di Roma dal 16 dicembre 2010 all'8 marzo 2011, catalogo Mazzotta.
    Mentre sull'attività artistica di Novelli, per assoluta incompetenza, rimando direttamente alla stimolante analisi critica che De Pirro ci offre su queste pagine on line di Tèchne (per la biografia dell'artista si consulti l'Archivio Gastone Novelli), due parole vorrei spendere su Manganelli e in particolare sul suo rapporto con il gioco.
    In uno scritto intitolato «Avanguardia letteraria» (ne Il rumore sottile della prosa, Adelphi, pp. 72-77
) Manganelli definisce gli scrittori d’avanguardia «puntigliosi escogitatori di artifici, un poco pedanti, intelligenze naturalmente inclini agli aspri e lucidi gaudi dell’acrostico, dei tecnopegnia, dei glifi, intenti agli austeri estri combinatori del linguaggio». È una pennellata descrittiva che ben si può estendere alla figura dello scrittore di letteratura potenziale, ovvero a quello strano individuo che partecipa all'attività ri-creativa dell'Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle), compresa la sua filiazione italiana dell'Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale), «una singolare consorteria di letterati, dediti a escogitare bizzarre invenzioni partendo da regole formali severamente costrittive, improntate a uno spiccato gusto matematizzante» (la definizione è di Mario Barenghi, «Poesie e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e racconti, Mondadori, 1994, pp. 1239-1245).
   
Per Manganelli gli scrittori d’avanguardia sono «letterati in quanto fanno letteratura d’artificio», a suo dire «l’unica che sia legittimamente denominabile letteratura. L’amore delle combinazioni improbabili, la scelta e la coltivazione di sintassi ostiche, ardue, inospiti; insomma, la scelta delle strutture, di strutture arbitrarie e rigorose». L’idea manganelliana di «una letteratura come artificio; fatto non sentimentale, non privato, e nemmeno demonico, non morale, non sociale, ma sommamente arbitrario e, insieme, rigoroso» è molto in sintonia con quella oulipiana dove un testo costruito secondo regole precise apre la molteplicità potenziale di tutti i testi scrivibili secondo quelle regole e dove dunque “la struttura è libertà” perché produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo (
cfr. Italo Calvino, «Introduzione» a: Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere e altri saggi, Einaudi, pp. V-XXIII, si veda p. XXII).
           
«A mio avviso» - continua Manganelli - «si dà propriamente letteratura solo dove ci troviamo di fronte a strutture [...] Non si scrivono poesie e romanzi per parlare direttamente al lettore, né per coprirlo della tenera fanga dei nostri sentimenti, né per educarlo a nobili sentimenti: ma, al contrario, perché, pur leggendo parole che potrebbero essere in diversi contesti anche sentimentalmente attive, le scorga nel loro valore strutturale, come ordine, disegno, organismo impersonale; anche macchina». In conclusione - scrive Manganelli - «la letteratura, ben lungi dall’esprimere la ‘totalità dell’uomo’, non è espressione, ma provocazione; non è quella splendida figura umana che vorrebbero i moralisti della cultura, ma è ambigua, innaturale, un poco mostruosa. Letteratura è un gesto non solo arbitrario, ma anche vizioso: è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio» (Manganelli 1994, p. 73).

    Scrittore visionario fedele a un’immagine “manieristica” della letteratura come costruzione artificiosa di un mondo surreale, Manganelli non è estraneo al gusto delle regole in letteratura. In un’intervista apparsa sull’Avanti! dell’8 aprile 1979 Manganelli spiega la genesi di uno dei suoi libri più intriganti, Centuria (1979), una raccolta di “cento piccoli romanzi fiume”, brevi narrazioni non più lunghe di un foglio che vanno a comporre «una vasta ed amena biblioteca». «Avevo per caso molti fogli da macchina leggermente più grandi del normale, e mi è venuta la tentazione di scrivere sequenze narrative che in ogni caso non superassero la misura di un foglio: è un po’ il mito del sonetto, cioè di una struttura rigida e vessatoria con la quale lo scrittore deve necessariamente misurarsi. Ma il fascino è tutto qui: in un tipo di scrittura che ti obbliga all’essenziale, che ti costringe a combattere contro l’espansione incontrollata. Insomma, credo che se non avessi avuto quei fogli non sarei mai riuscito a scrivere questo libro» (il corsivo è mio).

     In un’altra intervista pubblicata su Libération del 29 maggio 1985, in occasione dell’uscita della traduzione francese di Centuria, Manganelli è ancora più esplicito sulla “natura artificiosa” del libro: «Un soir où j’étais de mauvaise humeur, j’ai eu l’idée d’utiliser ces feuilles en me tenant au nombre de lignes qu’elles comportaient. Une idée, un récit par feuille: la première que j’ai écrite est la première à figurer dans le livre, de même pour les autres: rien n’a été modifié, amélioré ou transformé. Je ne devais écrire que sur les rectos, jamais continuer au verso; l’autre règle était de ne pas construire d’histoires qui se suivent, ni même que les personnages se retrouvent. Chaque récit devais se suffire, quitte à ce que certaines situations se ressemblent. J’ai mis un mois à écrire le livre» (il corsivo è sempre mio). Costrizione, regola: le indicazioni di Manganelli sono chiare: ne esce, come scrive Paola Italia, «un organismo compatto e dalla struttura calibratissima, in cui l’esercizio di stile si unisce al divertissement del gioco combinatorio» (Paola Italia, «Note al testo», in: Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, pp. 283-303, si cita da p. 289).
       I “cent petits romans-fleuves”, presentati da un Prologue di Italo Calvino, hanno un grande successo in Francia dove esperimenti come Centuria, afferma ancora Paolo Italia, si ricollegano alle «ricerche dell’avanguardia francese, quali ad esempio l’OULIPO di Queneau e Perec» (Italia, p. 296).

        Un'ultima considerazione. Il sodalizio di Manganelli con il pittore Novelli non fa stranezza se si pensa al profondo amore che il primo ha sempre coltivato per il mondo delle immagini, così ricco e inesauribile: «Uno stordimento allucinato ci adesca, siamo immersi in uno spazio che germoglia, con quale strana innocenza, di fiori, nonfiori, ali, elitre, lacrime d'alberi, riflessi, petali impossibili, strumenti musicali, taciturne losanghe, quadrati elusivi. Policromia di galline, di uova, silenziosi rettilinei pesci, sorgenti che traboccano di triangoli. Dunque, fin dalle origini, fin dallo spazio iniziale, fin dall'oscura balbuzie dell'Eden, il mondo, l'universo, il pianeta tra i pianeti era, prima che luogo dell'uomo, luogo dell'incarnazione dei colori, deposito inesauribile degli stemmi, reggia araldica ilare e furiosa» (Giorgio Manganelli, Salons, Adelphi, 2000, p. 24).

                                                                          Vai al Preambolo del testo di Ada De Pirro
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