pagina del sito di Tèchne di Paolo Albani

Luca Chiti
VIAGGIO ALL'ORIENTE
(due poesie)




A MEZZOGIORNO DI ISFAHAN

 

C'è da tornare al lavoro consueto ora che fuori c'è il sole

e il mare è piatto, senz'onda, in questa primavera troppo calda

che fa pensare a viaggi d'evasione in luoghi ancor più caldi

di deserto rossastro e di cielo senza nubi (ma improvvisa

si alza una tempesta di sabbia e il sole resta un disco

verde sfocato sopra le mura di creta di Isfahan: e l'orizzonte

sfuma in lontananza la nebbia di caldo degli scogli dei monti

che invitano a scoprire il mistero che si cela

venti metri più in là, nel canale di roccia che s'incurva:

dietro c'è forse l'essere di un altro mondo, che ho chiamato

nei momenti dello squilibrio che non conosce soluzione ai problemi,

e la promessa, in lui, di un'avventura mai vissuta da nessuno dei padri

nella sua macchina lucente che penetra nel sole, e ne fuoresce,

incolume, ma cieca e inebriata, la fusoliera rovente,

e macchine che danno la sapienza infinita in un frammento di tempo

infinitesimo, e lo scopo di vivere, ed il coraggio non-umano

di rompere la vita consueta, che apparirebbe inutile.

per qualcosa che valga in rapporto all'universo,

e non dia sazietà e non faccia temere la domanda «che fare» ed i perché

che affollano la mente davanti all'insondabile futuro dei miei giorni.

 

E allora (davanti al mare piatto) meglio la sosta notturna

a pochi metri dalle tende dei nomadi ospitali ed assassini

per una penna a sfera, e i ragni-granchio - il raccapriccio

della loro paralisi, acciecati dai fari, e il ventre bianco

corazzato a un attimo dall'essere schiacciato dalle ruote -,

e le bestemmie in mezzo alle falene strane, che restano aderenti

con le ali polverose al mio corpo sudato ed impastato

di polvere finissima; quando viene a mancare ogni visione

appena razionale del futuro ed il problema del momento

è l'unico che conti ed è presente inconsapevolmente

il rifiuto della casa e degli affetti di sempre,

perché sono espressione del giogo imposto dalla vita di ieri

che non si vuole più, e si vuol dire invece, sotto le stelle

del deserto e mentre i nervi sono tesi ai rumori del vento sulla sabbia

(un nomade esce dalla tenda di lana, incuriosito),

che c'è una vita nuova a cui si volge il desiderio

di chi sa, come me, della vita in eterna spossatezza

e non deve capire le parole di chi ciò non comprende

e che perciò propone una vacanza di riposo, sdraiato all'ombra

e in faccia al mare (immobile infinito) come norma di vita.

 

Così, fra l'evasione e l'impegno, mi domando «che fare»,

mentre torno al lavoro consueto, ora che fuori c'è il sole

e non so più la fiducia di ieri se penso al fuso d'oro

dell'essere venuto da altri mondi per gettarsi nel sole

del deserto persiano a mezzogiorno di Isfahan.

 

 

 

LE POUVOIR À L'IMAGINATION

 

                                                                       a Lori

 

I fili che percorrono la mente giungono infine ad uno

e il meccanismo scatta all'improvviso, recuperando,

e trasforma il reale in materia vissuta.

 

Ricordi i bambini, là, in basso, sulla spiaggia, che dopo

una giornata di mare danno gli ultimi calci alla palla

e fanno il salto giù dal muretto di cemento, vicino

a due vecchi coniugi che in mezzo agli ombrelloni ed alle sedie a sdraio,

vuote ormai di persone o ripiegate, vanno a braccetto lentamente

(lui col bastone) verso il pranzo che alla sera prepara

il gestore della pensione? Ricordi le barche

che contavamo sul mare col sole già un poco aranciata,

e ad ogni sguardo l'indice seguiva gli oggetti

sparsi sull'acqua di graniglia grigia,

come se fosse un tavolo non tutto sparecchiato?

 

Ricordi i mostri pietrificati nelle rupi

alle propaggini dei Pirenei e quella pieve antica,

grigia e buia di Seo de Urguel, e all'uscita pioveva?

Ricordi, ancora, la membrana di roccia ad una dimensione

delimitante il nulla del paese di fiaba e l'illusione

cullata a lungo durante il pomeriggio

prima di Andorra, luogo-speranza

di torri acuminate e di castelli e di cavalli

del principe bardati tra banderuole acute,

e zoccolío del seguito per le viuzze strette, lastricate

con le scaglie dei draghi che segnano l'entrata nel reame?

Ricordi il marmo di Carrara sulle Apuane

tarlato come in un antico cimitero

o come sulle tombe delle chiese di Lucca?

Ricordi Isola Santa, il paese scaglioso,

grigio-bizzarro come un aspide, macchiato

dal verde dei prativi, sommerso in parte dal bacino

d'acqua montana che fa girare le turbine

(e, tutto intorno, la soffice coperta dei castagni

sulle balze, e i monti-guglia

che incombono sugli orridi - le gole

dove una volta visse il bipede villoso delle origini

di cui troviamo ancora le selci delle frecce e delle lance

e le caverne quasi inaccessibili - la valle-forra

dove un giorno la vita fitta brulicava

in un guardingo camminare tra cespuglio e cespuglio,

preda ugualmente e predatore)? E poi ti voglio dire che la strada

diretta a picco sul Tirreno mi rimandava la memoria

a quella che discende sul Mar Nero, giù, fino a Trapezunte,

dove le case sono grigie ugualmente

ed appoggiate, a difesa, con le spalle alle rupi.

 

La vita della gente, ho visto, ovunque coincide

ed è per tutto un brulicare immenso di corpi e di pensieri

che vedono il serpente nelle nubi, al tramonto,

sopra i tetti e le chiese di Lucca

(gli zingari, stagliati contro le rocce dello sfondo,

stanno ancora seguendo i dromedari sopra il deserto d'erbe secche

su di un carro di legno a ruote piene:

con i turbanti delle donne variopinti, lentamente

- alle falde dell'Agri,

sacro monte dell'arca, dove ogni roccia appare

il muro sgretolato di antiche civiltà dimenticate di Titani).

 

Abbiam guardato (ed ho guardato ancora prima che tu fossi)

sempre con l'occhio dell'uomo di cultura

che non riesce a superare mai le convenzioni e le apparenze

che illudono al progresso di una scienza perfetta

che porta sulla luna; e non ci siamo accorti

che siamo ancora come la tribù che vive in alto sulla terramara

o in mezzo alla palude tra lo sterco dei figli.

Ad un livello non mistificato ciascuno si presenta

nel valore reale: siamo ancora al di qua della membrana

che sbarra il regno delle torri acuminate;

e il drago che affondava la testa troppo piccola nel lago

(ricordi?) non è stato sconfitto da Sigfrido,

anzi si è posto eterno ed immobile custode dell'entrata

del principato isolato di Andorra

che nel reale si mostra delusione di alberghi ultramoderni per turisti.

 

 

 

NOTA REDAZIONALE

 

Queste due poesie di Chiti sono tratte dal suo libro di poesia «Il viaggio all’Oriente», in Luca Chiti e Remigio Coli, Poesie, Luciano Manzuoli editore, Firenze, 1972, pp. 7-27.




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