pagina del sito di Tèchne di Paolo Albani

Luca Chiti

L’INFINITO FUTURO

SILLABE IN CRESCENZA

 

 

 

MONOSILLABI

 

Mi fu nel cuor

ad or ad or

quel mio bel col

che sta da sol,

e che, con quel

che qui vien su

dal suol, al ciel

là giù là giù

mi fa da vel.

Ché, se sto qui

(che qui pro quo!),

par che al di là,

man man nel blu,

non ci sia più

quel che c’è qua:

non il cri cri

che vien di lì,

non il tran tran

dei dì che van.

Ed è per ciò

che il cor va un po’

di qua e di là.

Ma se un fru fru

a me ne vien

dal vial fin qui,

tal, lì per lì,

sal nel mio sen,

sia quel che sta,

sia quel che fu

ma non è più,

sia quel che c’è

col suo can can,

che già, pian pian,

vo giù (mi par)

nel blu del mar

com om che muor.

Ma se vo giù,

per il mio cuor

sa pur di miel,

nel far glu glu,

vie più il gran gel

 

 

METRICA: quinari tronchi variamente rimati

[N. B. - Nel manoscritto originale i monosillabi sono incolonnati rigo per rigo, uno sotto l'altro. Il ritmo quinario è tuttavia più che evidente. È perciò che si è scelto questo tipo di raggruppamento [su due colonne nel testo originale della plaquette oplepiana, ndr], facendo prevalere, sulle esigenze freddamente filologiche, il calore di una più agevole lettura. Questo procedimento, fra l'altro, ha avuto il merito di mettere in luce l'esistenza di un enjambement tra il 6° e il 7° verso, che, in tutta evidenza, rappresenta un segnale molto significativo di un artificio di cui il poeta farà ampio uso nella stesura finale]

 

 

 

TRISILLABI

 

            Costante passione

cordiale

produsse codesta

solinga collina

foresta.

Infatti cortina

dorsale

modesta, vicina,

lontana visione

ridesta.

            Allora, seduto

mirando,

distesa spaziale

dipingo, pensoso;

mentale

silenzio vistoso

sognando;

astrale riposo

cercando, perduto.

Parziale,

            pertanto, perplesso

timore

avverto, sbandando.

Eppure qualora,

calando,

folata sonora

rumore,

frusciando, vapora,

allora, lunghesso

vagando,

            ricordo costanti

durate,

defunto fulgore,

stagioni presenti

sonore;

laddove correnti

salate

(dimore languenti)

leniscon, distanti,

dolore.

 

 

METRICA: quattro strofe di sei senari e quattro ternari: A b C D c D b c / D A c. Dalla seconda strofa in poi la rima C del terzo verso si incatena alla rima b della strofa precedente

[N.B. - Questa volta è stato il Leopardi stesso ad accorgersi dei ritmi e delle rime che la poesia gli aveva preso. Difatti, nel brogliaccio originale, la composizione è già strutturata così come viene qui riprodotta]

 

 

 

SETTENARI DOPPI (martelliani)

 

            Mi furon sempre cari quest'ermo colle e questa

siepe che, ostacolando la vista, il guardo arresta

            al di qua del confine vago dell' orizzonte,

sì che né quinci miro il mar né quindi il monte.

            Ma interminati spazi allora ecco che vedo,

da questo monte dove immaginando siedo;

            e quiete profondissima, silenzio sovrumano,

io nel pensier mi fingo spingendomi lontano

            in luogo ove per poco il cor non si spaura

vertiginosamente per l'estensione oscura.

            E come odo stormire tra queste piante il vento

vo comparando a questa voce il silenzio spento:

            e mi sovvien 1'eterno, e le morte stagioni,

e la presente e viva di limitati suoni.

            Così nell'infinito s'annega il mio pensiero:

e il naufragar m'è dolce in questo mare mero.

 

 

METRICA: 8 distici A A

[N.B. - I versi 13 e 14 già si presentano nella veste definitiva. A questo punto il poeta non dovrà fare altro che individuare gli a capo adeguati al ritmo endecasillabico. Arrivato al martelliano, la situazione era dunque più che matura per l'inevitabile meraviglia dell'exploit finale]

 

 

 

NOTA REDAZIONALE

 

Apparso il 30 novembre del 1999 in una plaquette, la numero 15, della Biblioteca dell’Oplepo, L’infinito futuro. Sillabe in crescenza di Chiti è un esercizio in cui s’ipotizza un avventuroso ritrovamento, in uno sgabuzzino murato del Palazzo di Recanati, di quindici tentativi di Infinito strutturati in tutte le salse metriche: si va dal balbettio monosillabico alla scandita ariosità del settenario doppio.
        Mentre sta ultimando il suo "esercizio" Chiti manda questa lettera a Raffaele Aragona, uno dei fondatori dell'Oplepo, in data 7 novembre 1999:




Nell’introduzione all'Infinito futuro viene riprodotto anche un articolo del Corriere di Recanati che dà notizia del danneggiamento della cameretta del Poeta, causa della fortuita scoperta:

 

 

Il testo permette, scrive Chiti, finalmente di seguire passo dopo passo il percorso compiuto da Leopardi per arrivare alla superba versione in endecasillabi che già possediamo. Le versioni ritrovate (quindici) si presentano in queste vesti metriche: monosillabi, due versioni in bisillabi, trisillabi, ternari, quaternari, quinari, senari, settenari, ottonari, novenari, decasillabi, endecasillabi (sonetto caudato), senari doppi e infine settenari doppi (martelliani).

Notevole per l’obbligo all’impegnativa restrizione la versione monosillabica in quinari tronchi variamente rimati in cui Chiti riesce, nonostante la concisione, a mantenere mirabilmente il senso dell’idillio leopardiano.

Di due versioni, quella monosillabica e quella trisillabica, Chiti fornisce (come fa anche in altri testi, si vedano Il centunesimo canto e i Canti di Castellaccio) anche gli originali scritti di pugno da Leopardi:


     



In una recensione alla Biblioteca Oplepiana (Zanichelli 2005) Mario Turello accenna alle «prodezze fantafilologiche di Luca Chiti, che sovverte l'esegesi dantesca con la “scoperta” del Centunesimo canto della Divina commedia, composto da versi disseminati nei cento conosciuti, e quella leopardiana pubblicando i brogliacci di ben quindici versioni – potenziali esperimenti metrici del recanatese – dell'Infinito, da quella bisillabica a quella in settenari doppi» (Mario Turello, «La letteratura potenziale della lingua inventata», Messaggero Veneto, 22 novembre 2005, p. 16).
        In un’altra recensione sempre alla Biblioteca Oplepiana, la linguista Carla Marello inizia il suo pezzo citando alcuni versi della riscrittura dell’Infinito operata da Chiti:


DA OULIPO A OPLEPO TRA ALAMO E TEANO
di
Carla Marello

Mi fu nel cuor /ad or ad or /quel mio bel col /che sta da sol, / Mi fu sempre caro / restando al riparo / di siepe modesta / sedere su questa / collina foresta».
 L'avrete riconosciuto. È l'Infinito di Leopardi riscritto da Luca Chiti quindici volte a partire da versi formati da soli monosillabi, poi da soli bisillabi, fino ai settenari doppi martettiani con complicazioni di rime che vi invito a scoprire nella Biblioteca Oplepiana. Si tratta di un volume che raccoglie i fascicoli, in alcuni casi le plaquettes riprodotte in forma anastatica, di quindici anni di pubblicazioni, a partire dalla fondazione nel 1990 a Capri del laboratorio italiano Oplepo, corrispondente italiano dell'Oulipo, Ouvroir de Littérature Potentielle, francese.
 La felicità nella costrizione: questa è la verità che quanti frequentano l'Oplepo, l'Opificio di Letteratura Potenziale, testimoniano. La letteratura che l'opificio produce è potenziale perché i suoi prodotti sono ancora da fare attraverso l'uso di nuovi procedimenti o meglio ancora da scoprire in opere già esistenti. Quindi la parodia è, insieme al lipogramma cioè la scrittura senza una qualche lettera, uno dei generi più praticati [...]

(Carla Marello, «Da Oulipo a Oplepo tra Alamo e Teano», ttL, tutto Libritempolibero, supplemento a La Stampa del 21 gennaio 2006, p. 4).


Home page      Indice Luca Chiti