pagina della Nuova Tèchne di Paolo Albani

Roberto Barbolini
ERRARE DI VINO.
SERENDIPITÀ DEL FOINCO APPENNINICO

(2020)

 

 

 

Errare è umano, perseverare è divino. Anzi: di vino, come il presente saggio intende dimostrare. Se il professor Eno Viti, malgrado i ricorrenti attacchi di sciatica e una moglie che continuava a dargli del matto, non avesse perseguito con tenacia i suoi vagabondaggi appenninici assieme allo scrittore Giuseppe Pederiali, gran cacciatore di creature favolose, oggi non saremmo qui a occuparci del foionco. Si deve infatti alla pertinacia di questi due ricercatori errabondi la testimonianza decisiva sull’effettiva esistenza di quella mitologica bestiazza che – sulla scorta del Minghelli (1) – Viti descrive come «mezzo uccello e mezzo faina», facendone risalire l’etimo al latino furiunculus, ossia ladruncolo. Purtroppo non c’è scienza più erronea dell’etimologia, che vagabonda qua e là cercando la radice delle parole non per svelarne, ma per riconfermarne la natura menzognera.

All’epoca del fortunato avvistamento si calcola che del foionco non sopravvivessero più di sei o sette esemplari, ma da allora le cose sono migliorate. Seppure di rado, foionchi sono stati avvistati dapprima sulle balze dell’Alto Appennino modenese, nei pressi di Sant’Anna Pelago, e poi anche in pianura tra Finale Emilia, Novellara e Mirandola. Un vero miracolo, date le loro singolari abitudini di vita quali vengono descritte scientificamente dal professor Viti nel suo fondamentale studio Il foionco (questo sconosciuto) (2) e confermate da Pederiali nel suo libro L’osteria della fola. (3)

Entrambi concordano nel descrivere il foionco come un volatile pigrissimo, che si regge su tre zampe e non si muove quasi mai, tanto che per accoppiarsi deve aspettare i terremoti sussultori. Il che spiega la sua rarità. Una sola passione sembra riscuoterlo dal torpore: quella per il lambrusco, che nel corso dei secoli l’ha aiutato a sopravvivere alla caccia, all’inquinamento e al dissesto idrogeologico. Il professor Redgrasp dell’università di Glasscastle (4) fa risalire questa peculiare inclinazione bevereccia addirittura ai tempi del Diluvio universale. Quale vino credete che bevesse il buon Noè? Cabernet Sauvignon californiano? La parabola biblica può sembrare un po’ reticente al riguardo, ma è praticamente sicuro: si trattava di lambrusco. Non è infatti un caso – suggerisce lo studioso – che il venerando beone abbia generato tre figli: Sem, Cam e Yafet. Tre, come i vitigni del lambrusco: Sorbara, Grasparossa e Salamino di Santa Croce. O come le zampe del foionco: tertium datur. Tramite l’esame delle impronte con lo stesso metodo spettrografico usato per la Sacra Sindone, Redgrasp ha stabilito che i primi animali a salire sull’arca furono proprio un foionco e una foionca in fuga dall’aborrito diluvio acquatico. Il rollio e il beccheggio dell’arca non erano sufficienti a favorirne l’accoppiamento durante la perigliosa navigazione, ma il sussulto del grosso barcone, quando infine si arenò contro uno scoglio del monte Ararat, produsse il miracolo, e la terra poté ripopolarsi di nuovi, piccoli foionchi.

Il comune amore per il succo d’uva cementò il rapporto di questa rara specie con il patriarca che l’aveva salvata. Quando Noè fu trovato dai figli ubriaco e addormentato, apparve subito chiaro che non era stato il solo a prendersi quella ciucca memorabile: due grossi uccelli a tre zampe furono visti levarsi in volo tra i filari, sbattendo pigramente le ali. Erano i foionchi dell’Arca, che avevano appena festeggiato con Noé l’anniversario dello scampato Diluvio.

Per secoli e secoli del foionco non si seppe più nulla, tanto che se ne stava perdendo perfino il ricordo. Per riportarlo in auge ci voleva un uomo dalla memoria prodigiosa: Pico della Mirandola. (5) Non dimentichiamo che Pico era il signore dei territori dove oggi si produce il Sorbara per antonomasia. Un giorno, mentre si dirigeva verso la cantina del suo castello per spillare una pinta di quello buono, Pico vide uno strano uccello a tre zampe che, riparato in una cavità sassosa, stava covando un uovo gigantesco.

«Perdìo,» esclamò «è la Fenice che risorge dalle proprie ceneri!». Per l’emozione tremava tanto che dovette scolarsi una mezza botticella. Rinfrancato, s’accorse che l’uccello a tre zampe sembrava fargli l’occhiolino. Gli si avvicinò e quello, con un ruttino da bevitore soddisfatto, si lasciò accarezzare. Ben presto divennero amici. Pico non stava più nella pelle dalla gioia, convinto di aver finalmente trovato l’Araba Fenice. Invece aveva scoperto la prima foionca dell’età moderna, la cui data d’inizio va dunque anticipata di qualche anno rispetto al convenzionale 1492, quando Cristoforo Colombo – vittima dello stesso abbaglio interpretativo di Pico – scoprì l’America credendola l’India.

Non c’è come restare saldi nell’errore, sia come sbaglio che come vagabondaggio, per scoprire dove vogliamo andare veramente. Gli scienziati, avvezzi più di Adamo ed Eva alla foglia di fico, la chiamano serendipity, rubando il termine coniato dallo scrittore Horace Walpole per indicare le imprevedibili scoperte che si fanno quando si trova una cosa mentre se ne sta cercando un’altra.

«D’altra parte, se il ricercatore sapesse già esattamente quello che sta cercando, non avrebbe bisogno di cercarlo, non ti pare?» mi ha detto l’altro giorno un amico scienziato. «Per questo occorrono tanti fondi». Così passa la vita a tentare di procuraseli e ha praticamente smesso di fare ricerca. Che importa? Tra convegni in hotel di lusso e viaggi premio in località esotiche dove allignano tycoon dai denti a sciabola, ritenuti chissà perché i finanziatori ideali, non perde certo il suo ottimismo. «Serendipity» motteggia «significa cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino». Il che accade di frequente agli scienziati come ai poeti, o almeno così pare di capire da queste alate parole di Andrea Zanzotto: «Quando si scrive una poesia è frequente la serendipità. Miri a conquistare le Indie e raggiungi l’America».

Rieccoci dunque alla scoperta dell’America, quell’uovo di Colombo la cui portata è stata ingiustamente sopravvalutata rispetto alla riscoperta del foionco da parte di Pico della Mirandola.

Venendo a tempi più recenti, le testimonianze sull’esistenza dell’uccello mirabolante si moltiplicano. Narrano i cronisti che Mozart giovinetto, durante il suo soggiorno a Bologna sotto l’egida di padre Martini, sconfinasse con certe cantanti leggere nelle osterie del vicino Ducato di Modena, imparando ad apprezzare come pochi il lambrusco, che sorbiva a grandi sorsi schioccando la lingua mentre componeva i suoi capolavori. Lo accompagnava in queste sortite uno strano rapace addomesticato: un uccello a tre zampe assai ghiotto di vino, che aveva addestrato a volargli sulla spalla. A chi gli chiedeva che bestia fosse, col suo buffo accento salisburghese rispondeva: «È ratza di Foghionko».

«Come si chiama?» gli chiesero una sera.

«Salieri» rispose per scherzo. Ma il musicista suo acerrimo rivale se la legò al dito, e questo spiega perché Mozart morì avvelenato. (6)

 

Pare che persino il Corvo di Edgar Allan Poe, noto alcolista, fosse in realtà un foionco addomesticato, sfuggito a un emigrante emiliano che se l’era portato in America. (7)

C’è poi il caso eclatante del Foionco dei Baskerville: solo una sbornia prodigiosa avrebbe potuto far scambiare un foionco per un mastino. E infatti Conan Doyle la ciucca se l’era presa quando il suo editore inglese gli aveva comunicato che quella storia d’un uccello padano ubriaco in grado di seminare il terrore nella brughiera inglese non era abbastanza british: «Ci vuole qualcosa di più sanguigno, adatto al vecchio spirito di John Bull. Perché non prova con un mastino?».

Lo scrittore, che aveva certi debitucci da pagare, dovette abbozzare, e così il foionco sparì dalle avventure di Sherlock Holmes. Andate pure a rileggervi l’intero canone: tra i ben noti vizi del geniale investigatore, come il violino e la morfina, non si fa mai cenno al lambrusco; eppure sia Holmes che Watson andavano pazzi per quel vino leggero e spumeggiante, che preferivano perfino allo champagne. Valga per tutte la testimonianza dello storico Andrea Barbieri, che in Sherlock Holmes a Sassuolo (8) ha documentato in modo incontrovertibile la dipsomania del detective, esplosa quando Holmes fu chiamato dall’archivista Natale Cionini per scoprire il colpevole di un delitto avvenuto secoli prima, durante la breve signoria dei Pio sulla città emiliana. Non sarà irrilevante notare che Sassuolo sorge ai piedi di quelle colline dove tuttora aleggia il foionco, col suo spirito alcolico che frulla nelle menti eccitandole.

E veniamo all’hard-boiled, la famigerata scuola dei duri ad alta gradazione alcolica. Si è a lungo discusso se The Maltese Falcon, il capolavoro di Dashiell Hammett da cui venne tratto il film con Humphrey Bogart, andasse tradotto Il falcone maltese oppure Il falco maltese. (9) Oggi sappiamo che la misteriosa statuetta al centro della trama rappresentava in realtà un foionco maltese, ossia un uccello bevitore della specie più rara. Hammett fu costretto a trasformarlo nel più banale falcone per convincere l’editore Knopf a pubblicargli il romanzo. Quando John Huston gli propose la versione cinematografica, il vecchio Dash provò a rilanciare l’idea del foionco, ma i caimani della Warner Bros. furono irremovibili: un uccello a tre zampe e perdippiù ubriaco avrebbe rubato la scena a Bogart. Sarebbe invece andato benissimo nella serie dell’Uomo ombra, a trincare martini ed egg nog assieme a Nick e Nora. Ma anche in questo caso non se ne fece nulla per via delle invidie associate di William Powell & Myrna Loy, già costretti a sopportare le arie da primadonna del terrier Asta.

Così finì, prima ancora di incominciare, la breve avventura cinematografica del foionco. Deluso dalle luci false e bugiarde di Hollywood, l’intelligente animale rifiutò un ruolo servile in Viale del tramonto, che andò poi a Eric von Stroheim, e preferì ritirarsi nel prediletto habitat tra l’Appennino e il Po. Là i suoi eredi continuano a svolazzare attorno alle cantine, e trovano sempre sul davanzale un bicchiere di quello buono lasciato dai contadini come offerta propiziatoria. A ulteriore conferma di quanto sostenevano quei gran bugiardi degli antichi, per il foionco vale insomma il vecchio motto in vino veritas. Né l’autore di questa ricerca saprebbe dargli torto.

A differenza di Eno Viti e di Giuseppe Pederiali, il sottoscritto non ha mai avuto la fortuna di incontrare un foionco di persona. Il vagabondaggio di quei due pionieri tra boschi e forre dell’Appennino non dovette essere meno lungo né meno rischioso dei tre anni trascorsi da Henry Morton Stanley a errare nel cuore dell’Africa nera, fino alle sponde del lago Tanganika, prima di poter pronunciare quel fatidico «Dr. Livingstone, I presume» che oggi suona leggermente imbarazzante. Davvero Stanley s’immaginava che l’esploratore scozzese gli rispondesse «No, guardi che ha sbagliato persona»? Erano gli unici due europei nel raggio di centinaia di chilometri, uno scambio d’identità sarebbe stato impossibile. Eppure la rigida etichetta vittoriana gli suggerì quel capolavoro di understatement. Figuriamoci dunque le esitazioni di Viti e di Pederiali quando infine – dopo mesi di appostamenti per braccare una creatura dall’esistenza assai più dubbia del dottor Livingstone – si trovarono faccia a faccia con uno «stupendo animale dal becco relativamente lungo e dalle ali apparentemente possenti».

Sarà lui o non sarà lui? Vincendo timore e tremore, lo scienziato e lo scrittore si avvicinarono lentamente alla strana bestia che li fissava coi suoi occhi di triglia, mentre con le tre tozze zampe munite di rudimentali artigli si grattava con ostentazione quegli organi genitali che la relazione del professor George Smith Jr. ci assicura «dall’aspetto confuso e grottesco non facilmente descrivibile». (10)

Pederiali fu il primo a ritrovare la favella: «Dottor Foionco, suppongo?».

E quell’infame sorrise.

Che dire? Ci sono bestie estinte come il dodo; oppure rare, come i licaoni e i tapiri dalla gualdrappa, che sono reali ma in pericolo d’estinzione; infine animali immaginari, tipo l’anfesibena o l’uroboro, che per secoli sono stati ritenuti reali e descritti come tali nei bestiari o nei trattati dei naturalisti. Tra un paio di secoli, la tigre non apparirà meno inventata di loro. Esiste però una quarta categoria non facilmente classificabile: quella degli ibridi, tra cui si annoverano i centauri e le sirene. Il foionco, faina alata, somiglia a queste creature dalla doppia natura, sulle quali verità ed errori s’intrecciano da secoli.

«La verità è una, la bugia molteplice», diceva Montaigne. Ma Guido Almansi, gran baccelliere della menzogna veritiera, nel suo libro dedicato ai Bugiardi (11) ha avuto buon gioco a dimostrare quanto ristretto sia il campo della verità appena ci si allontani dalla banalità quotidiana. Si può essere sinceri riguardo al numero di targa della propria auto, o a dove ci trovavamo ieri sera alle19.30 (be’, questo dipende anche da cosa stavamo facendo, e con chi …); però la faccenda si complica non appena proviamo a rispondere davvero a domande come «Mi ami?» oppure «Credi in Dio?».

L’esistenza del foionco appartiene a quest’ardua categoria di quesiti insolubili. Sarebbe come chiedersi se è vero o falso il camaleonte quando cambia colore. Rispondere significa entrare nel campo della menzogna oggettiva per impossibilità di dire «la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità». In un’epoca superstiziosa come la nostra, in cui la gente crede perfino ai sondaggi, verità e menzogna sono ormai indistinguibili. Il Regno del Falso dilaga nelle truffe su Internet, (12) nei profili inventati o cannibalizzati su Facebook, nelle vite virtuali che ci illudiamo di vivere oltre i bastioni di Orione e di là dalle porte di Tannhäuser, senza mai abbandonare la nostra postazione di “malati al terminale” davanti allo schermo luminoso del nostro computer. E dunque che cosa importa stabilire se il foionco, creatura errabonda, sia soltanto una chimera alata oppure un autentico lusus naturae? La verità è come la gru di Chichibio: ha due gambe o una sola a seconda delle circostanze. E c’è sempre qualcuno che se ne mangia via un pezzo. Per questo siamo condannati a vagare in una giungla d’errori, come Stanley alla ricerca del dottor Livingstone. Non ci sono strade, eppure continuiamo a camminare.

 

 

 

NOTE

 

1) B. Minghelli, Le parole dell’Alto Frignano, vol. II, ed. La terra di S. Andrea, Pelago1986, pp. 137-138.

2) Il foionco-questo sconosciuto, a cura del prof. Eno Viti, direttore del laboratorio di studi e ricerche Enoetologiche dell’Università di Bologna. Con il patrocinio dell’Assemblea regionale, del Comitato provinciale, del Comune di Pievepelago, del Gruppo guardie forestali e la collaborazione dei cittadini di S. Anna Pelago. Si tratta di un opuscolo di 15 pagine numerate. Faccio riferimento alla seconda edizione, 1987. Viti afferma che Glauco Visalberghi, autore di un quasi introvabile Trattato sul foionco, ha inseguito prima di lui le tracce dell’uccello ubriacone nella zona sottostante il Passo delle Radici, al confine tra la provincia di Modena e quella di Lucca. Viti ci informa inoltre che nel lontanto 1958 un altro studioso, il prof. George Smith Jr., si recò «per due mesi in località Imbrancamento per effettuare sul foionco studi accurati». Imbrancamento è a 3,5 km. dal Passo delle Radici, cit. Sfortunatamente lo studio del professor Smith risulta irreperibile.

3) G. Pederiali, L’osteria della Fola, Garzanti, Milano 2002. Si vedano, in particolare: L’uccello del lambrusco (pp. 117-124) e La battaglia di Fiumalbo (pp. 125-153). Sulla predilezione del foionco per i vini frizzanti rimane fondamentale il contributo del professor A. Rimbaud, L’oiseau ivre (ed. Verlaine & Chandon, Paris, s. d.), in cui si suggerisce di allevarlo in cattività facendogli bere champagne. Tutt’altra musica con il professor I. Stravinskij, che nell’Oiseau du feau opta invece per una dieta a base di vodka: si veda in proposito il fondamentale studio di T.[Theodor] W. [Wiesengrund] Veronelli, Filosofia come Enologia, ristampato nel 2001da Archiv-Arcigola (Berlin-Roma Verlag).

4) W. Redgrasp, The Fojonk Renaissance, con una prefazione di Frances Yates, Glasscastle University Press 1992.

5) Si vedano al riguardo: Giovanni Pico della Mirandola, Conclusiones nongentae. Le novecento Tesi dell’anno 1486, a cura di Albano Biondi, Leo S. Olschki editore, Firenze 1995. Inoltre: AA.VV., Giovanni Pico della Mirandola. Atti del Convegno internazionale di studi nel cinquecentesimo anniversario della morte (1494-1994), a cura di Gian Carlo Garfagnini, Leo S. Olschki editore, Firenze 1997. In particolare, va tenuto presente il saggio L’occulto in Pico di Brian P. Copenhaver. Inoltre: G. Cavicchioli, La città della Fenice e altri scritti, a cura di U. Casari, Ed. Fiorini, Verona 1991.

6) Cfr. Aleksandr Sergeevič Puškin, Mozart e Salieri e Il convitato di pietra, a cura di Roberto De Simone, Einaudi, Torino 2006.

 7) Cfr. A. Bernardi, Houses with Names (University of Illinois Press, 1990), passim: storia orale d’una comunità di immigrati dall’Appennino modenese a Highwood, Illinois.

8) A. Barbieri, Sherlock Holmes a Sassuolo, ed. Vilmy Montanari, Casalgrande 1990. Al fascino del foionco non seppe resistere neppure S. S. Van Dine, codificatore delle famigerate venti regole del giallo classico. Il dottor Ibn al Rashid, un ricercatore dell’Università di Vineyard che studia l’influsso del proibizionismo sulla letteratura poliziesca, ha infatti rinvenuto tra i materiali sequestrati in uno speakeasy degli anni Trenta la copia autografa de La canarina assassinata di Van Dine, scoprendo che il titolo originale era Il foionco resuscitato. In proposito si rimanda a: I. al Rashid, The Doomed Detective – The Rise and Fall of Philo Vance. A study on the effects of alcoholism in the development and decline of Van Dine’s detective novels during the Thirties and the Fourties, Vineyard University Press, Des Moines 1996. Stando a una testimonianza orale di Diego Gabutti, il foionco fu inoltre ospite di Nero Wolfe, il pachidermico detective patito delle orchidee e della buona tavola, che lo invitò a cena nella sua casa in arenaria sulla 35ma Strada, una sera che Archie Goodwin era in libera uscita. Quel genio scorbutico condivideva con il foionco una dote capitale: la pigrizia. Ma Wolfe, con uno di quei ragionamenti serrati che hanno mandato tanti assassini a friggere sulla sedia, riuscì a dimostrare di essere più pigro del foionco perché – data la sua ben nota misoginia – non s’era mai accoppiato neppure durante i terremoti sussultori.

9) Si veda in proposito: R. Barbolini – F. Minganti, F for Fake, G for Genre: Counterfeiting Literary genres: Hard Boiled Fiction (film clips of Italian-dubbed The Maltese Falcon), Nowhere Publishing House, Las Vegas 2003. Per amore di completezza vale infine la pena di osservare che dal foionco discende tutta la schiatta dei ladri gentiluomini alla Arsenio Lupin, giusta l’etimologia suggerita dal Minghelli e ripresa dal Pederiali (cfr. L’Osteria della Fola, cit., p. 132).

10) La citazione di Smith, forse apocrifa, è stata riferita oralmente dal Visalberghi a un amico di Battista Minghelli, che l’ha fedelmente trascritta .

11) G. Almansi, Bugiardi. La verità in maschera, Marsilio, Venezia 1996, in particolare l’Introduzione, pagg. 9-13.

12) Come esempio di credulità telematica mi limito a citare la fantasiosa truffa del Dominion of Melchizedek, un caso di qualche anno fa. Una banda internazionale convinse centinaia di risparmiatori italiani a investire capitali in questo stato dal nome esotico, che esisteva soltanto su Internet.




Il testo di Roberto Barbolini è apparso sul n. 28, 2020 della rivista Nuova Tèchne.
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